Quella domenica, agli
inizi di ottobre del 1992, fu per molti versi indimenticabile. Troppe
emozioni. Troppe sensazioni. Un anno prima ero eccitatissimo per il
passaggio da una piccola città a una delle città più belle del
mondo, e ora mi trovavo a dover fare i conti con uno dei più grandi
autori di fumetti del mondo. Una cosa decisamente grande per uno
studente di scuola del fumetto. Ma la cosa più incredibile era
un'altra: MA CHI CI PENSAVA PIU' ALLA SCUOLA DEL FUMETTO. Mi iscrissi
al secondo anno per via di un vincolo sul contratto che mi obbligava
alla frequenza biennale della scuola ma, francamente, se l'anno
precedente avevo fatto di tutto per non perdere neanche una lezione,
durante il secondo anno ne persi parecchie. Del resto sono convinto
che se mai avessi preferito le lezioni della scuola alla
collaborzione con Jacovitti, sarei stato preso per un idiota totale.
Insomma, Jacovitti tutta
la vita.
Ho avuto fortuna, lo
ammetto. La fortuna di andare a “bottega” dall'artista che Carl Barks definiva come “il più grande fumettaro europeo”. Scusate
se è poco.
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I miei primi soldi guadagnati alle "dipendenze" di Jacovitti: 300.000 lire, per 3 disegni. |
Come detto nel secondo
capitolo, il primo disegno realizzato per Jacovitti fu un disegno di
Cocco Bill, per degli orologi da muro a tiratura limitata. Un
disegno, ci tengo a precisarlo, non commissionato da lui ma solo
approvato e realizzato completamente da me. Me la sbrigai in un paio
di giorni e l'orologio venne stampato e presentato alla fiera del
fumetto di Lucca nel 1992 con il seguente slogan: LUCCA 92, L'ORA DI
JACOVITTI (vi rimando al capitolo successivo).
Nel frattempo, mi ero
riappropriato della mia stanzetta nella pensione “Villa Bassi”
sul gianicolo. Il tempo di sistemare un piano in legno con due
cavalletti che orgogliosamente chiamavo tavolo da disegno che suonò
il citofono (era così che in quella pensione ci avvisavano
dell'arrivo di una telefonata). Risposi con una certa sicurezza (in
sostanza mi chiamavano solo i miei): “Pronto?”
“Pronto Nedeljko?”
“Si?”
“Sono Jacovitti”
Colpo al cuore,
tachicardia, sudore. Naturalmente non sapevo come rispondere. Dalla
bocca mi uscì qualcosa del tipo: “Buongiorno, maestr... signor
Jacovitti”. E lui: “Ciao. Potresti venire questo pomeriggio da me
perché ho tre disegni da farti fare”.
Credetemi se vi dico che
sudavo freddo. Non lo so, forse era emozione o forse paura. Magari
tutt'e due insieme.
Mi diede un orario in cui
andare e ci salutammo. Chiusi il telefono, uscii dalla cabina e per
la gioia feci un salto degno del miglior Carl Lewis, a rischio di
finire in portineria rotolando per le scale.
Ma come si possono
descrivere certi momenti? Io che ho conosciuto il fumetto con
Jacovitti, che leggevo solo Jacovitti, che mangiavo quello che
mangiava Jacovitti, che, quindicenne nella sperduta Lecce, mi
chiedevo se mai un giorno avrei potuto stringergli la mano, ora mi
trovavo in questa incredibile situazione.
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Roma, ottobre 1992. Chino sul mio tavolo da lavoro, intento a disegnare uno dei tre disegni commissionatimi da Jacovitti. Per inchiostrare usavo un rapidograph della Rotring 02. |
Guardate, se avessi avuto il Titanic a disposizione, mi sarei precipitato a prua urlando: “Sono il re del mondoooooooooo!!”. Ma a disposizione, avevo solo l'autobus n. 46 che quel pomeriggio mi portò direttamente a casa di Jacovitti.
Appena salito mi fece
accomodare nel suo studio e prima di parlarmi dei disegni, mise in
chiaro una cosa a cui teneva molto: “Se vuoi lavorare con me, devi
darmi del TU. Niente maestro, o signor Jacovitti. Io sono Franco, per
gli amici. Chiaro?”
E io: “Certo
maestro...” e lui di nuovo: “TU, mi devi dare del TU!”,
ridendo. Mi ci è voluto del tempo per abituarmi a questa confidenza
e sono sicuro che lui sotto sotto si divertiva.
Mi fece immediatamente
vedere tre bozzetti a matita realizzati su tre fogli F2 Fabriano
ruvidi 70x50. Rappresentavano tre presonaggi delle varie epoche
romane. Il mio compito era completare le matite e inchiostrarli. Si
raccomandò di usare un tratto spesso in quanto dovevano servire per
realizzare delle magliette. Successivamente le avrei riportate a
Jacovitti che avrebbe passato la mezzatinta per poi darle al suo
colorista di fiducia, per la colorazione.
Subito dopo, mi porse un
assegno dicendomi: “Te le pago in anticipo. 100.000 lire a disegno,
per te va bene?”
Ricapitoliamo
velocemente: 17 anni + collaboratore di Jacovitti + 300.000 lire =
Extasy totale!
Comunque, le avrei
inchiostrate anche gratis. Una simile scuola per me non aveva prezzo.
Ci salutammo baciandoci
sulla guancia, come quando un nonno bacia il nipote. E sarebbe stato
così fino al nostro ultimo incontro. Era davvero affettuoso con
tutti.
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Jacovitti nel suo studio. In primo piano la ristampa della sua versione di Pinocchio, illustrata dal maestro negli anni '60 per i Fratelli Spada. |
Camminavo per strada con
i disegni di Jacovitti e con quell'espressione che voleva dire:
“Guardatemi gente, IO sono il collaboratore di Jacovitti. Non so se
rendo l'idea. Qui ho dei suoi disegni originali e IO ho il grande
onore di cancellare il suo tratto, se lo riterrò necessario. Sarò
IO a inchiostrarli. Sarò IO a dare l'impronta finale.”
Non giudicatemi male. Ero
semplicemte al settimo cielo.
Quando riportai i
disegni, Jacovitti colse l'occasione e mi invitò a pranzo. Si
complimentò con me per il lavoro svolto con una frase del tipo: “Ma
sei bravissimo!”. In quell'occasione, conobbi sua moglie, la
signora Floriana della Lilli (lui la chiamava sempre così), una
bella donna dall'aspetto minuto e gentile, che si contrapponeva
all'aspetto imponenete di Jacovitti.
Franco e Lilli erano
molto innamorati.
Pranzammo in un
ristorante in via Baldo degli Ubaldi, a due passi dalla sua casa. Lui
insistette affinché mangiassi antipasto, primo, secondo, contorno e
dolce. Lui saltò il secondo, il contorno, ma non rinunciò al dolce.
In realtà Franco doveva stare attento coi dolciumi per via del
diabete, ma a volte si concedeva uno strappo. “Tanto non mi vede
nessuno”, amava ripetere.
Parlammo di fumetti. Di
autori come Lino Landolfi, Bonvi, Schulz, Quino. Mi disse che gli piaceva
l'ultimo stile di Landolfi, quello del Don Chichotte per intenderci,
adorava Shulz ma graficamente gli preferiva Quino e Mordillo.
Parlammo di Segar, Craveri e dei tempi del Vittorioso.
Di ritorno verso casa
parlammo di Cocco Bill e mi accennò a un lavoro da fare dopo la
fiera del fumetto di Lucca (fiera in cui Jacovitti ricevette lo
Yellow Kid alla carriera). In quella stessa occasione mi parlò della
sua eredità artistica, del suo desiderio che le avventure di Cocco
Bill continuassero anche dopo di lui.
Ma anche questa è una
storia che merita un capitolo a parte.
Grande racconto, more please!
RispondiEliminaGrazie Roberto... C'è tanto da raccontare si quest'esperienza.. cerco di trarre le cose più importanti.. Ci sono voluti 15 anni affinché mi decidessi a raccontare il tutto.
RispondiEliminaA presto:)
I più grandi, spesso, si rivelano anche come i più alla mano. :)
RispondiEliminaE Jacovitti era davvero alla mano.. come tutti i grandi che ho conosciuto: Galep, Magnus, Breccia... Tutta gente umilissima a cui non gliene fregava niente d'apparire, ma solo di disegnare e raccontare....
EliminaGrazie Giovanni!