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Jacovitti, al tavolo da lavoro, accende il suo immancabile sigaro. Alla sua sinistra, in basso, s'intravedono le illustrazioni di Cocco Bill e Tom Ficcanaso prima della colorazione. |
Il mese di novembre e
parte del mese di dicembre del 1992 furono, lavorativamente parlando,
molto intensi: illustrazioni a colori di grande formato, copertine
per settimanali e disegni vari tennero impegnato il nostro periodo
natalizio. Ma, prima di parlare di questi lavori, cercherò di
descrivervi le tecniche e i segreti di quello che a tutti gli effetti
era un lavoro di squadra.
Il “modus operandi”
fu praticamente lo stesso per tutto il corso della nostra
collaborazione.
Jacovitti non era solito
usare matita e disegnava direttamente con il pennino (usava i Perry
inglesi). Ma ultimamente la vista non lo accompagnava granché,
quindi Franco abbozzava le figure a grandi linee con una matita
morbida per delineare gli spazi, intingeva il pennino nell'inchiostro
(usava il Pelikan) e realizzava l'illustrazione con un tratto
sottilissimo simile a quello di una micromina.
Una volta finito, mi
passava il disegno, pronto per l'eventuale rifinitura (onomatopee,
linee di movimento, vermi e salami da aggiungere) e soprattutto per
il ripasso con il suo tipico tratto multilinea. Io inchiostravo il
tutto usando un rapidograph Rotring 02 (a volte lo ricaricavo con
inchiostro di china e non chiedetemi come ma funzionava) e lo
riportavo al maestro che, armato di pennello e inchiostro di china
nero diluito con acqua, dava la mezzatinta per delineare le ombre.
Lui mi spiegò che nei
suoi disegni la luce veniva sempre da destra.
Successivamente, arrivava
la fase della colorazione. In questo Franco aveva un collaboratore
fidato da molti anni: Alfonso Castellari, che stendeva i colori su
precise indicazioni di Jacovitti.
Come? Jacovitti aveva un
sistema basato sui numeri (tranquilli, niente di matematico): a ogni
colore corrispondeva un numero: ad esempio, all'arancione associava
il numero 1, al giallo il numero 2, al rosso il 3. Se voleva un
arancione più forte allora segnava 1+, se invece più tenue, 1-. Più
segni metteva, più il colore variava d'intensità, fino ad un
massimo di 3 segni. Quindi un arancione molto forte era segnato come
1+++.
Franco metteva i
numeretti a matita sul disegno e il colorista eseguiva in base allo
schema. Naturalmente, dopo anni di collaborazione tra i due, il tutto
fu memorizzato. Alfonso Castellari usava ecoline e talvolta (credo
negli anni passati) le chine colorate.
Devo aggiungere una cosa
su questo colorista e disegnatore davvero bravo. Castellari era
affetto da morbo di parkinson e la mano gli tremava in maniera
impressionante (spesso aveva degli spasmi violenti, visti anche da me
in prima persona). Vi starete chiedendo: “Ma come cavolo faceva a
colorare?”. La stessa domanda che osai rivolgergli un giorno,
mentre gli portai alcuni disegni.
“E' una questione di
concentrazione” mi rispose Castellari. “Quando mi siedo, prendo
il pennello e incomincio a colorare concentrandomi su quello che
faccio, allora il tremore si attenua in modo da permettermi di fare
un lavoro decente!”. A dire il vero, i colori non erano stesi bene
e Franco lo sapeva ma non gli avrebbe mai tolto il lavoro. Castellari
era comunque un colorista di prim'ordine (vedere la colorazione del
Pinocchio di Jacovitti).
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La tabella originale dei colori realizzata da Jacovitti. A ogni colore veniva associato un numero. |
Finito la colorazione il
disegno ritornava a Jacovitti, che lo spediva tramite corriere
all'editore di riferimento.
Dimenticavo: il
tutto su fogli Fabriano F2. Jacovitti durante tutta la nostra
collaborazione non usò nessun altro tipo di carta. Chi è del
mestiere sa che è una carta da battaglia ma lui ripeteva che la
carta non era il problema. Il vero problema erano i pennini e gli
inchiostri che secondo lui non erano buoni come un tempo. In passato
usava una carta meravigliosa, la Fabriano 100% cotton, sia ruvida che
liscia.
Come dicevo di ritorno da
Lucca ci fu davvero tanto lavoro da fare. Con il “modus operandi”
descritto prima, realizzammo venti illustrazioni di grande formato
raffiguranti Cocco Bill e Tom Ficcanaso. Erano destinate a una serie
di suoi albi per il mercato giapponese, ma alla fine non se ne fece
nulla e le suddette furono riutilizzate come copertine per lo
Jacovitti Magazine, la rivista dedicata a Jacovitti.
Inoltre Jacovitti iniziò
a collaborare con il settimanale COMIX, il giornale dei fumetti (lo
stesso dell'agenda che oggi va tanto di moda), che iniziò a
pubblicare alcune sue vecchie storie. Quelli di Comix, decisero di
dedicare la loro prima copertina natalizia a Jacovitti e indovinate a
chi toccò l'onere di realizzarla?
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Roma, novembre 1992. A lavoro su una delle illustrazioni di Cocco Bill. |
Questa volta fu davvero
dura. Non solo dovetti imitare lo stile di Jacovitti, per il quale
ero allenato, ma anche quello dei vari artisti che pubblicavano su
Comix, tra cui: Bonvi, Silvia Ziche, Disegni e Caviglia, Tot, Massimo Cavezzali, Origone, ecc... Praticamente il disegno raffigurava un
Babbo Natale che si apriva in due, facendo cadere a pioggia delle
immagini raffiguranti i personaggi più famosi degli autori prima
citati. Franco mi passò uno scarabocchio su un foglio A4 per darmi
l'idea, lasciando a me il piacere di realizzarlo in toto.
Quando lo riportai bell'e
finito, la sua esclamazione fu: “Ma sei bravissimo!” e si
precipitò dalla moglie, Lilly, a farglielo vedere. Era un gesto che
mi piaceva tantissimo e che faceva ogni qualvolta portavo un
disegno, e ritornando diceva ironicamente: “Approvato!”
Questi furono i due
lavori principali che realizzammo prima di Natale.
Ora tenetevi forte.
Franco mi pagò 100.000 a disegno. X 20 = 2.000.000 di lire (me li pagò tutti in anticipo). E non è
tutto. Dato che la copertina natalizia di Comix l'avevo fatta
praticamente da solo, me la pagò il doppio, 200.000 lire.
2.200.000 lire a 17 anni,
per poco più di un mese di lavoro. Per poco non mi prendeva un
colpo. Lo stipendio di un operaio generico, nel 1992, arrivava a
stento a 1.100.000 lire. Riuscii a pagarmi la retta della scuola del
fumetto (che frequentavo a stento) e l'affitto della pensione, senza
chiedere niente ai miei e onestamente fu una bella soddisfazione
personale.
Ma ad essere sincero, le
prime volte mi sentivo imbarazzato nell'accettare il suo denaro. Un
giorno provai a dirglielo, e mi azzitti subito. Ciò che disse fu più
o meno questo: “Ricordati, che i soldi servono a tutti e così come
servono a me servono anche a te!”.
Non l'ho mai dimenticato.
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Altre due illustrazioni. Vennero firmate "Jacovitti '93" in quanto era quello l'anno previsto per la pubblicazione estera. |
Sono storie meravigliose, hanno un gusto narrativo molto intenso e servono a ricostruire un altro pezzettino della storia del fumetto!
RispondiEliminaGrazie a tutt'è due (Enrico e Domenico). Jac è davvero un pezzo di storia. Speriamo che servano a chi intraprende questo meraviglioso viaggio nel mondo dei fumetti.
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