sabato 29 settembre 2012
La mia intervista a Sergio Bonelli sul magazine serbo "KVARTAL"
venerdì 28 settembre 2012
300: Los bros Hernandez – Benvenuti a Palomar (Love and Rockets)
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Magic Press, 1999 (Usa, Love and Rockets, 1982) |
“Benvenuti
a Palomar... dove gli uomini sono uomini e le donne devono avere il
senso dell'umorismo...”
(Carmen,
da La zuppa del crepacuore)
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I Los Bros Hernandez: Jaime, Mario e Gilbert. |
La
parola indipendente è ormai sulla bocca di tutti. Cinema
indipendente, musica indipendente e naturalmente fumetto indipendente
oggi vanno talmente per la maggiore che sembra quasi che debbano
scomparire le grosse multinazionali che pubblicano i vari big del
settore.
Per
il momento questo rimane utopico, ma di sicuro oggi l'arte
indipendente ha preso piede e, pur non avendo i mezzi delle varie
corporation, le idee e il potenziale di certo non manca.
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Poesia,
leggerezza a Palomar: incomincia da qui l'avventura del fumetto
indipendente.
|
Bisogna
anche dire che spesso l'espediente del fumetto indipendente ha dato
il via a una serie di editori indipendenti che hanno pubblicato e
continuano a pubblicare roba che con l'arte ha poco, se non nulla, da
spartire.
Ma
questo non è il caso di Gary
Groth della
Fantagraphic
che, nei lontani anni '80, ebbe l'intelligenza e il coraggio di
scommettere su una piccola grande opera di un gruppo di tre fratelli
americani, che sicuramente oggi ha uno dei posti d'onore nella storia
del fumetto indipendente e se vogliamo essere sinceri del fumetto in
genere.
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Margarita "Maggie" Luisa Chascarrillo una delle protagoniste disegnate da Jaime Hernandez. |
Benvenuti
a Palomar (Love and Rockets)
di Gilbert,
Jaime
e Mario Hernandez
è un piccolo grande fumetto,
“un'anomalia”
per usare le parole dello stesso Groth.
Basterebbe la storia iniziale di questo volume, La
zuppa del crepacuore, per
farvi capire cosa si può fare con mezzi tecnici scarsi ma
grandissima originalità narrativa. Non appena uscito, il “re”
del fumetto underground, Robert
Crumb,
disse che La zuppa
del crepacuore
era la cosa più bella e originale che avesse letto, elogiandone la
qualità letterale. In effetti la storia disegnata dal Gilbert
è
un perfetto e meraviglioso spaccato della cultura latino-messicana,
in cui l'autore crea un sorprendente universo di personaggi come
l'adolescente Pipo,
il latin lover Manuel,
la banadora Chelo
e la sua concorrente Luba
e tutta una serie di persone comuni che si muovono nello sperduto
paesino di Palomar
(piccionaia) che conta 386 abitanti.
Un
pezzo di vita reale, quasi una sorta di neorealismo rude e ironico,
caratteristiche che contraddistinguono il disegno di Gilbert
Hernandez.
La
serie proseguirà mantenendo sempre ottimi livelli artistici e
narrativi, alla scoperta di nuovi e sorprendenti personaggi ma anche
dei simpatici e commoventi abitanti di Palomar
ormai cresciuti e ognuno con la sua vita. E soprattutto con Gilbert
e Jaime Hernandez,
instancabilmente al timone di un 'opera che è e sarà sempre un vero
punto di riferimento per il fumetto indipendente, quello stesso
fumetto che loro stessi hanno contribuito a creare.
Ma
la magia e la bellezza di queste prime storie resteranno per sempre ineguaglianze.
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Gilbert,
Jaime e
Mario Hernandez:
differenze di stile.
|
Curiosità
Il
primo numero di Love and Rockets esce negli USA nel 1981; nessun
grande editore dietro ma solo tre fratelli, Gilbert, Jaime e Mario
Hernandez e la loro volontà di vedere pubblicate le loro storie. La
prima tiratura non arriva neanche al migliaio di copie, spillate
manualmente dagli stessi Hernandez bros.
La serie è stata portata
avanti dal 1982 al 1996. Dopo una lunga pausa gli Hernandez
annunciano l'uscita di Love and Rockets volume 2 seguita, nel 2008,
dal terzo volume.
In
Italia le storie degli Hernandez Bros esordirono sulle pagine della
rivista Comic Art.
Altre
edizioni
La
Magic
Press ha
pubblicato Love and
Rockets
in circa 19 volumi, che rispettano fedelmente l'edizione americana.
Prima della Magic
Press,
alcune delle prime avventure degli Hernandez
erano comparse sulle riviste Comic
Art
e Lupo
Alberto Magazine.
Anche la Coconino
ha pubblicato un cofanetto Nuove
storie della vecchia Palomar,
con storie antecedenti a quelle conosciute.
Dal
2013, la Panini Comics sta ristampando integralmente l'opera degli
Hernandez.
mercoledì 26 settembre 2012
300: Guido Nolitta e Aurelio Galleppini – Tex e il segno di Cruzado
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Mondadori, 1998 (Italia, Il segno di Cruzado, 1980) |
"Io
scrivevo nei tempi morti, quando il lavoro d’ufficio me lo
permetteva. Forse per una questione d’imbarazzo, non sapevo se
esaltare la conquista o la resistenza degli indiani. Però ho sempre
preferito il western crepuscolare, perché già ti fa capire quali
saranno i vinti e i vincitori e personalmente sono più dalla parte
dei vinti, di quelli che devono sopravvivere."
(Sergio
Bonelli parlando de Il
segno di Cruzado)
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Aurelio Galleppini e Guido Nolitta/Sergio Bonelli. |
Ho
conosciuto Sergio Bonelli un paio d'anni fa, nella sua
redazione di via Buonarroti. Ma non volevo conoscere l'editore che ha
creato l'impero fumettistico capitanato da Tex Willer,
bensì ero curioso di conoscere l'uomo ma soprattutto lo
sceneggiatore. E non m'interessava conoscere colui che ha creato
personaggi entrati nella storia del fumetto italiano come Zagor
e Mister No, ma lo scrittore di
una particolare storia di Tex, creato dal padre
Gianluigi.
Quel
giorno andai nella redazione della nota casa editrice per conoscere e
stringere la mano all'uomo che aveva scritto Il segno di
Cruzado.
Sergio Bonelli aveva un modo di fare diverso da suo padre. Mentre Gianluigi Bonelli era un uomo che amava la forza fisica, affascinato dalla conquista e dall'eroe che esce vittorioso alla fine di ogni avventura, il figlio Sergio si schierava con i deboli e i perdenti e pertanto veniva affascinato di più dal popolo dei nativi. Ed è infatti proprio questa consapevolezza a caratterizzare questa storia bellissima, piena di violenza e amarezza.
Sergio Bonelli aveva un modo di fare diverso da suo padre. Mentre Gianluigi Bonelli era un uomo che amava la forza fisica, affascinato dalla conquista e dall'eroe che esce vittorioso alla fine di ogni avventura, il figlio Sergio si schierava con i deboli e i perdenti e pertanto veniva affascinato di più dal popolo dei nativi. Ed è infatti proprio questa consapevolezza a caratterizzare questa storia bellissima, piena di violenza e amarezza.
Una
storia che incomincia bene, con una visita al villaggio Navajo
da parte di alcuni Paiutes capitanati da una giovane testa
calda, Cruzado, che
vuole guidare il popolo rosso nella rivolta indiana contro il popolo
bianco fregandosene dei vari trattati di pace. Tex
proverà a farlo ragionare ma Cruzado,
umiliato anche per aver perso con Aquila della Notte (il nome
indiano di Tex, capo
della tribù dei Navajo)
una gara di abilità, riuscirà a far leva su alcuni giovani e
influenzabili indiani Navajo e a iniziare a lasciar dietro di
se una lunga scia di sangue e violenza.
Tex
cercherà di fermarlo anche per evitare l'intervento dell'esercito;
ci riuscirà ma il prezzo di quest'amara vittoria sarà veramente
alto.
Chi
è abituato a leggere le avventure del più famoso ranger del
fumetto, sa che ogni avventura e coronata da una vittoria
schiacciante dell'eroe. In Tex e il segno di Cruzado
invece non ci sono né vincitori né vinti ma solo un eroe diviso in
due: fermare Cruzado
significa fermare anche quei giovani e incoscienti Navajo che
l'hanno seguito e sconfiggerli vuol dire ucciderli.
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Uno dei momenti più drammatici e allo stesso tempo toccanti della storia. |
E'
proprio quando tutto sembra finito, quando l'eroico ranger riesce a
fermare Cruzado e recuperare i Navajo superstiti per
riportarli a casa che Sergio Bonelli e Aurelio
Galleppini ci fanno vivere l'angosciante viaggio di ritorno
che vedrà la morte di altri Navajo a causa della follia
dell'uomo bianco, in quest'odissea senza fine dove non sembra esserci
una via d'uscita.
E
anche il lettore, coinvolto da quest'intensa avventura, dentro di sé
vive un conflitto che razionalmente lo porta a voler vedere Tex
schiacciare senza pietà gli indiani ribelli di Cruzado, ma
dall'altra non esclude la consapevolezza di un popolo da sempre
offeso, umiliato, sterminato dall'uomo bianco e per questo rancoroso
nei confronti di questo.
Una
storia per molti versi davvero unica, in cui Sergio Bonelli
da il via libera a una sequenza di azioni ed emozioni perfettamente
accompagnate dai disegni del grandissimo Galep che,
anche in quest'opera, dimostra la sua perfetta sintonia con l'eroe
che lui stesso ha contribuito a creare.
Nel
corso di oltre sessant'anni di avventure, Tex ,con le
sue eroiche gesta è riuscito a emozionare intere generazioni che per
tutto questo tempo ne hanno decretato un successo senza precedenti
nell'editoria europea.
Sergio
Bonelli, al
tempo Guido Nolitta,
diede il suo notevole contributo al successo di Tex con
poche ma memorabili avventure (basti pensare a El
Muerto che, secondo un sondaggio realizzato nel
1981 dalla stessa casa editrice, fu la storia più amata dai
lettori).
Ma
Tex e il segno di Cruzado rimane uno dei suoi
capolavori, forse il mio Tex preferito (tant'è che Galep
mi diede il permesso di fotocopiarmi alcune sue tavole originali
tratte proprio dalla storia di Cruzado), un'opera dove al
classico eroismo fatto di duelli, scazzottate, si contrapponevano
sentimenti come l'amarezza, il perdono, la sconfitta e l'umanità.
Quell'umanità
che ha sempre contraddistinto la sua vita di uomo, scrittore ed
editore.
Curiosità
La storia di Nolitta e Galep fu anche sottoposta a censura. Dopo che Cruzado abbandona la riserva Navajo portandosi dietro alcuni di loro, vediamo arrivare Kit Carson stanco, stravolto, febbricitante e aggressivo avvisare Tex delle barbarie compiute dal ribelle indiano. Per tutta risposta il ranger molla un cazzotto all'amico unicamente (come spiegherà Sergio Bonelli in uno dei suoi editoriali) per calmarlo. Ma la sequenza non fu mai pubblicata.
Edizione consigliata
Altre
edizioni
la più recente riproposta di questa storia è avvenuta nei volumi n. 101 e 102 nella ristampa a colori delle avventure di Tex a opera del quotidiano La Repubblica. Per chi volesse leggerlo nell'edizione originale, i numeri di Tex in cui compare la storia vanno dal 242 al 245.
Oltre 300: degli stessi autori non perdere...
Sergio Bonelli – L'uomo dell'avventura
![]() |
Papà Gianluigi, la mamma Tea e il loro figlio Sergio ritratti da Fernando Tacconi. |
Sergio
Bonelli mi concesse questa intervista nel maggio del 2010, nel suo
ufficio, in Via Buonarroti a Milano.
Il
nostro fu un incontro molto piacevole e l'intervista, che definirei
piuttosto una chiacchierata, fu l’occasione per conoscere meglio
non solo l’editore, ma anche l’uomo che, per oltre cinquant’anni,
ha condotto con vera passione il suo lavoro.
Ricordo
che prima di dare inizio alle domande feci omaggio a Sergio Bonelli
di un disegno originale di uno dei più geniali, a mio, parere,
fumettisti serbi, Milorad
Dobric.
La
presente intervista comparve per la prima volta sul mio sito
“Avventure di Carta”; di recente è apparsa sulla rivista serba
“Vreme”.
Oggi
la ripubblico sul mio blog, Over
the roofs, in
occasione del primo anniversario della sua morte, riveduta e
corretta e con un apparato iconografico arricchito rispetto al
precedente.
Buona
lettura.
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Rapallo 1996: da sinistra il grande illustratore Lele Luzzati, lo sceneggiatore Carlo Chendi, Sergio Bonelli mentre riceve il premio "U giancu", il sindaco di Rapallo e in disparte il grande Moebius. |
Ned:
Inizio subito
chiedendole se, dopo 50 anni di attività nel mondo del fumetto, ha
mai pensato di smettere, di dire: “Basta! Mollo tutto e via…”?
Sergio
Bonelli: “Ci
ho pensato più di una volta, sinceramente, e non solo ora ma già
trent’anni fa. Ma poi per diversi motivi non l’ho fatto, perché
se da un lato c’è la voglia di lasciare, dall’altra c’è la
curiosità che ti spinge a fare una nuova serie, a provare una nuovo
soggettista, un nuovo disegnatore … e poi c’è da considerare il
fatto che senza far niente m’annoierei, non ho altri interessi
(oltre quelli usuali come andare al cinema, a teatro, ecc…) come
dire, professionali”.
N:
Ma comunque
un pensiero l’ha fatto?
SB:
“Beh,
ultimamente ci ho pensato di più (ride…), perché comunque è
diventato più pesante star dietro a tante testate”.
N:
Prova
sempre le stesse emozioni quando ha tra le mani una sua nuova
testata? Dal momento in cui l’approva, fino a quando non la vede in
edicola, cosa prova dentro di se dopo tanti anni?
SB:
“L’emozione
della prima volta si rinnova sempre. Perché ogni volta è una specie
di sfida che ti fa capire se hai ancora un contatto col pubblico, se
sei ancora in grado di capirlo. Ma c’è anche il dubbio, nel
momento in cui intervieni per modificare la serie proposta, magari
per meglio adattarla alle esigenze del pubblico. Sinceramente ora
sono più insicuro e quindi mi baso sul parere delle persone che
lavorano con me”.
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La regina Loana una delle storie di Cino e Franco preferite da Sergio Bonelli. |
N:
Presumo che
le capiti spesso di parlare di fumetti anche al di fuori dell’ambito
lavorativo, ad esempio con qualche amico o collega. Ne ha piene le
scatole? O lo fa con lo stesso entusiasmo?
SB:
“Mi piace molto parlare con chi è esperto, con chi conosce e ama i
fumetti come li amo io. Poi quando l’amicizia coincide con la
professionalità è ancora meglio. Del resto molti dei miei amici
sono gli stessi sceneggiatori e disegnatori con cui lavoro.”
N:
Quali sono le
storie a fumetti, oltre alle sue naturalmente, che l’hanno
emozionata di più e che la emozionano tutt’oggi, quelle che
porterebbe con se sempre, ovunque?
SB:
“Adoro
molto le storie di Topolino
realizzate da Floyd Gottfredson,
perché erano storie avventurose, ricche di suspence, azione e
mistero. Oggi leggi Topolino e ti aspetti di trovare la battuta
pronta e invece quelle storie di Gottfredson
potevi leggerle
con la sessa facilità di un battuta, con la stessa passione di
un’avventura e con la stessa emozione di un mistero.
Poi…
so di fare discorsi da vecchio, ma io rileggo spesso L’uomo Mascherato,
so a memoria La regina Loana di Cino e Franco,
ripeto, sono manie da vecchiotti lo so…
Poi
continuamente mi rileggo Mandrake.
E’ buffo che tu me lo chieda perché, proprio l’altro giorno, un
ragazzo mi ha regalato Il
Mostro del passo Tanov,
un albo di Mandrake
che a me piace tantissimo”.
N:
E' un artista
che le piaceva particolarmente?
SB:
“Mi
piacevano molto Hogarth,
Foster
(anche se un po’ meno di Hogarth), poi
Caniff (che rappresentò una vera rivoluzione), Raymond,
ecc... E’ evidente che io sia più legato al disegno classico e
realistico, meno al fumetto di tipo grottesco come il Dick Tracy di Gould.
Poi mi piace tantissimo Giovanni
Ticci, per
citare qualcuno della mia squadra”.
Un'altra delle storie preferite da Sergio Bonelli: Il mostro del passo Tanov. |
N:
E qualche
nuova leva? Ad esempio escono molte graphic novel. Ne legge qualcuna?
SB:
“Si,
le leggo, ma a dire la verità senza entusiasmo, in quanto i disegni
richiedono una certa complicità a cui non sono abituato. A volte i
disegni sono solo abbozzati, forse perché per gli autori è molto
più importante la storia, mentre io, per motivi generazionali, sono
più legato ai disegni”.
N:
Anni fa,
conobbi Aurelio Galleppini (Galep) a Chiavari… Per me rimane
l’unico vero erede italiano di Alex Raymond…
SB:
“Eh,
si! In effetti se non gli avessimo messo tanta fretta per Tex,
avrebbe dato dei risultati superiori, ma alla fine non ne aveva
bisogno, perché già con Occhio Cupo e ancor
prima con le storie per Nerbini
aveva dimostrato
il suo grande talento”.
N:
Lo ricordo
come una persona generosissima. Mi regalò qualche suo disegno,
alcuni albi e soprattutto mi fece vedere tutti i disegni originali
per le bellissime copertine di Tex…
SB:
“E
lui conservava tutti i suoi disegni tanto che è difficilissimo
vederli. Se ne trovi qualcuno in qualche fiera, vuol dire che
l’hanno rubato a me, in tipografia”.
N:
Parlando
sempre di Galleppini, mi divertivano molto i suoi editoriali che
scriveva per gli albi di Tex. Quando avvenne la sua scomparsa, lei
ricordò di quando lui, giovane, venne a Milano a lavorare per la
casa editrice che al tempo era gestita da sua mamma Tea Bonelli. Lei
era un ragazzo, immagino…
SB:
“Beh, era
circa il 1948 (anno in cui nacque Tex), io avrò avuto 16 anni e lui
26 o giù di lì…”
N:
Lei ricordava
di vederlo sempre chino sul tavolo di lavoro, mentre lavorava a
Occhio Cupo, che era ritenuto il personaggio di punta della casa
editrice, e nel tempo rimanente a Tex. Che ricordo ha di questo
grande artista che lavorava giorno e notte…?
SB:
“Bisogna
tenere conto che tutta quella generazione di artisti usciva da poco
dalla guerra e doveva lavorare sodo per potersi comprare i generi di
prima necessità, o che ne so un cappotto, una bicicletta o potersi
sposare… Quindi tutta quella generazione lavorava duro e tanto.
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Aurelio Galleppini in arte Galep nel 1992. |
Aurelio,
da principio viveva in casa mia e quindi diventammo ottimi amici. Poi
andò ad abitare con un amico di mio zio che faceva il lettering per
noi. Al tempo, il lavoro del letterista era strano perché la gente
non sapeva come veniva effettuato, se a mano o con i timbri, non come
oggi…
Con
Aurelio, spesso mangiavamo insieme, andavamo in giro insieme e lui,
lavorando tanto ed essendo legato alla sua famiglia, sgobbava per
portarla tutta qui dalla Sardegna…”
N:
Mi colpivano
molto i modellini che lui usava costruirsi come ausilio per i
disegni.
SB:
“Si lui se li
costruiva tutti. E costruì anche un grande plastico che
rappresentava un paesaggio con i treni elettrici che lo
attraversavano”.
N:
Lei per
Galleppini realizzò due storie di Tex che mi colpirono
particolarmente: una, El Muerto,
segnò la mia adolescenza fumettistica. Ma l’altra fu davvero
particolare: Il
segno di Cruzado.
SB:
“Quella dei
ragazzi indiani…”
N:
Si! Una
storia davvero forte perché, quando la leggi, non sai da che parte
stare, sei diviso a metà e non riesci a prendere una posizione. Alla
fine resti del tutto neutrale.
SB:
“Io scrivevo
nei tempi morti, quando il lavoro d’ufficio me lo permetteva.
Forse per una questione d’imbarazzo, non sapevo se esaltare la
conquista o la resistenza degli indiani. Però ho sempre preferito il
western crepuscolare, perché già ti fa capire quali saranno i vinti
e i vincitori e personalmente sono più dalla parte dei vinti, di
quelli che devono sopravvivere. Mio padre (Gianluigi Bonelli), ad
esempio, aveva un carattere totalmente diverso dal mio, a lui
piaceva la conquista, lo affascinava che ci fosse un vincitore alla
fine di ogni storia. Io invece, per diversità di carattere, sono più
affascinato dalla tragedia di questo popolo che vive i suoi ultimi
anni con la consapevolezza di essere destinato a scomparire”.
N:
Infatti
colpisce più Il
segno di Cruzado
rispetto a un'altra grande storia di Tex, Sangue
Navajo
scritta da suo padre Gianluigi. Uno legge la storia ed è portato a
stare dalla parte degli indiani, poi si vede quel gruppo d’indigeni
impazzito seminare morte e dentro il lettore è come se si scatenasse
una crisi di coscienza. E’ davvero un capolavoro, una delle mie
storie preferite e una delle più belle di Tex in assoluto, perché
ti lascia l’amaro in bocca…
SB:
“Infatti!
E facevo fatica (così come molti altri) a continuare Tex proprio per
questo motivo.
Mio
padre invece non aveva dubbi da che parte stare. A parte la bella
intuizione di quando Tex sposa Lilith, la giovane indiana navajo, che
rappresentò una svolta importante tanto da precedere anche un film
come L'amante
Indiana.
Lui amava dire che erano i personaggi che agivano da soli e che gli
trasmettevano le varie sensazioni da inserire nella storia.
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I quattro albi che racchiudono una delle storie più belle di Sergio Bonelli: Il segno di Cruzado. |
Dal
canto mio io non avevo la sicurezza di essere bravo. Lui, da grande
professionista qual era, invece si”.
N:
Parlando di
Tex, l’eroe doveva inizialmente chiamarsi Tex
Killer.
Galleppini mi disse che fu lui a consigliare suo papà a cambiare
Killer in
Willer.
Come andarono realmente le cose?
SB:
“C’è
da dire che mio padre era un sostenitore della forza fisica e della
violenza. Lui amava leggere i romanzi gialli, ben prima della guerra,
autori del calibro di
Edgar Wallace, S. S. Van Dine, Mickey Spillane, Peter Cheyney,
perché erano quei romanzi in cui era presente una certa dose di
violenza. E da lì che lui prese, forse, quel linguaggio che poi usò
per Tex, un linguaggio duro e asciutto tanto che il ranger non
piaceva inizialmente ai ragazzini. C’è anche da dire che lui
conosceva bene l’inglese, l’aveva imparato da autodidatta (aveva
tradotto anche dei romanzi di Jack London) e quindi gli venne
naturale chiamarlo Killer,
che era una parola della quale, nel 1948, nessuno conosceva il
significato. La casa editrice al tempo veniva gestita da mia madre
Tea che non sapeva una parola d’inglese, come me del resto, e
qualcuno, ma non si sa bene chi, le ha fatto notare il significato
della parola
Killer.
E lei optò per cambiarlo…”
N:
E fu
Galleppini a suggerire Killer?
SB:
“È un
mistero. Ci sono cose che si sono perse nella memoria. È come il
logo di Tex. Mia madre dice che è stata lei a idearlo. Mio padre
dice che è stato lui, che chi dice che è stato quell’altro… Io
di certo non sono stato (ride)”.
N:
Parliamo
di
Un uomo un avventura,
una delle collane del fumetto italiano più belle di sempre. Penso ad
albi come L’uomo
di Iwo jima
di Gino D’antonio,
L’uomo di Tsushima di Bonvi,
L’uomo
delle Filippine
di Ivo
Milazzo,
ecc… io poi ne ho amato uno particolarmente, L’uomo
di Chicago
di Giancarlo
Alessandrini…
Qual è il suo preferito? Quello a cui è più legato?
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Tre degli albi tra i preferiti di Sergio Bonelli che compongono la bellissima collana Un Uomo un'avventura. |
SB:
“Io
sono un grande appassionato di guerre coloniali e pertanto ho amato
molto L’uomo
dello Zululand,
che Gino D’Antonio creò su mia richiesta. Ho centinaia di libri
sulle guerre coloniali e avendo questa passione mi sono piaciuti
molto anche L'
uomo del Nilo
di Sergio
Toppi,
L’Uomo
della Legione
di Dino Battaglia.
D’altronde tutta la collana è stata realizzata per compiacere me,
le mie tematiche preferite, come le guerre coloniali, i gangsters
negli anni 30.
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Sergio Bonelli e Hugo Pratt. |
Un
uomo un avventura
è
nata per puro divertimento e per lavorare con quei disegnatori con
cui non potevo lavorare al tempo perché lavoravano per il mercato
inglese, che pagava parcelle che io non avrei mai potuto pagare a
quei tempi. Ma tramite l’agenzia di Roy D’Ami, riuscì ad avere
molti di questi meravigliosi artisti che si prestarono volentieri a
questo piccolo gioco. Quindi ecco il bellissimo albo che realizzò
Attilio Micheluzzi,
L’Uomo
del Tanganika,
poi a Hugo Pratt,
sapendo della sua passione per i cangaceiros gli proposi una storia
simile e nacque L’Uomo
della Somalia.
Poi realizzò anche L’Uomo
del Grande Nord
e L’Uomo
dei Caraibi.
Anni dopo, per farmi dispetto, realizzò Cato
Zulù per
la Rizzoli. Era da tempo che gli chiedevo una storia simile. Ma a lui
piaceva parecchio scherzare con me, stuzzicarmi. Spesso veniva in
redazione, andavamo al cinema, passavamo intere serate a parlare di
viaggi, lui era molto più esperto delle isole del pacifico, mentre
io ero più per l’Africa e l’Amazzonia”.
N:
L’ultimo
film per cui ha provato una grande emozione?
SB:
“Ultimamente
vado poco al cinema, perché i film che fanno ora non mi
entusiasmano. Giudico un film che mi piace, in base a quante volte lo
rivedo in un anno. Amo i film di guerra, quindi conosco a memoria
Orizzonti
di Gloria
di Kubrik,
poi tra i western amo Nessuna
pietà per Ulzana
di Robert
Aldrich
e La
notte dell’Agguato di
Robert Mulligan”.
N:
E
il suo western preferito? Il mio (che poi è anche in assoluto il mio
film preferito) è Un
dollaro d’Onore
di Howard
Hawks.
SB:
“Invece a me non piace tanto, perché non amo l’ambientazione
urbana e preferisco i grandi spazi e credo si capisca dai fumetti che
facciamo. Infatti non credo di aver mai scritto delle storie
d’ambientazione urbana e di questo molti disegnatori che hanno
lavorato con me mi hanno ringraziato.
N:
E
L’uomo
che uccise Liberty Valance
di John
Ford?
Questo meraviglioso triangolo d’amore…
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La notte dell'agguato e Nessuna pietà per Ulzana, due tra i film western prediletti da Sergio Bonelli. |
SB:
“Beh, quello si, quando mi capita lo rivedo volentieri, ma ti dirò
che non sono mai stato un grande ammiratore di Ford (al contrario di
mio padre che era un fordiano convinto), a eccezione di
Sentieri Selvaggi,
perché in quel film c’è proprio il senso dello spazio, del
cambiamento delle stagioni. E’ un film davvero bello”.
N:
E
tra gli ultimi western? Penso a un film bellissimo di e con Kevin
Costner,
Terra
di confine.
SB:
“Quello m’è piaciuto molto. Soprattutto la sparatoria finale,
molto veritiera, infatti fa vedere come si sparavano a distanza
ravvicinata senza centrare il bersaglio, cosa che avveniva nei vecchi
film”.
N:
Torniamo
ai fumetti. Ci sono artisti “bonelliani” come Galep,
Giovanni Ticci, Roberto Diso
che godono di giusta fama. Altri che rischiano di cadere nel
dimenticatoio. Penso a un artista che io amavo moltissimo, e che ha
lavorato quasi esclusivamente per lei: Vincenzo Monti.
SB:
“Certo. C’è da dire che Vincenzo era un uomo modestissimo.
Lavorava in una tipografia e faceva dei lavori davvero pesanti tanto
che, quando mi presentò i suoi primi disegni e ti parlo di
tantissimi anni fa (non eravamo nemmeno in questa sede), io temevo
che non avrebbe mai imparato, proprio perché quel tipo di lavoro
implicava un massiccio uso delle mani. Io lo incoraggiai molto e lo
diedi “in prestito” a un mio amico editore, Renzo Barbieri, che
si occupava di pubblicazioni erotiche. Lui, nel frattempo, continuava
a farmi vedere i suoi disegni e col passare del tempo migliorò
parecchio soprattutto quando prese a modello Ticci. Credo che per lui
fu la giusta strada da seguire per arrivare a un suo stile”.
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Una bellissima illustrazione di Vincenzo Monti, artista tra i più bravi e sottovalutati della "scuderia" Bonelli. |
N:
In
effetti era considerato un “ticciano” ma in realtà io trovavo il
suo tratto molto personale. Non aveva il senso dell’azione e la
tridimensionalità di Ticci, ma aveva un bel bianco e nero e le sue
cover della collana Tutto
West
erano bellissime.
SB:
“Si
è vero, tanto che giorni fa sfogliavo uno degli albi che usciva con
repubblica e facevo notare ai miei collaboratori come il suo tratto,
con quel bianco e nero netto, ben si sposava con il colore”.
N:
Un artista
davvero sottovalutato.
SB:
“Ieri
è morto Frank
Frazetta
e nessuno qui sa chi sia e parliamo di un gigante dell’illustrazione.
Gino
D’Antonio
è morto da tre anni e nessuno se ne ricorda più. La nostra
categoria non lascia impronte così pesanti da essere ricordati”.
N:
E’ vero!
Pensiamo a che gran genio era Roy D’Ami.
SB:
“Lui,
avendo fatto la guerra, volontario inAfrica, finì prigioniero degli
inglesi ed ebbe la fortuna (nella sfortuna) di leggere e guardare
tutti quei comics d’oltreoceano (probabilmente passati da qualche
sorvegliante inglese). Infatti D’ami disegnava all’americana
perché già conosceva Milton
Canif
mentre noi non sapevamo neanche chi fosse. Aveva poi, a differenza di
Canif, uno spiccato senso dell’umorismo che riversava nei suoi
disegni”.
N:
In
una comic convention a Milano, definì la collana Storia
del West
di Gino
D’Antonio una delle serie più belle da lei pubblicate.
SB:
“Non ho dubbi
su questo”.
N:
E' una serie
che amo molto anch’io. Poi D’Antonio aveva questa capacità di
mischiare realtà e finzione.
![]() |
Gino D'Antonio e la sua Storia del West. |
SB:
“Ho sempre ammirato e invidiato questa sua grande capacità. Poi
aveva un equilibrio davvero invidiabile. Mentre, parlando sempre di
Storia del West, quando Rino
Albertarelli disegnò, su mia richiesta, delle monografie sugli eroi del west (I
Protagonisti),
ottenne più un risultato scolastico che al lungo tempo un po’
stufava”.
N:
Com’è la
sua giornata lavorativa? È cambiata nel tempo?
![]() |
S. Bonelli in viaggio nel Sud America. |
SB:
“Inevitabilmente
è cambiata con l’età. Sembra incredibile ma dieci anni fa non ero
così immerso nel lavoro come oggi. Prima uscivo tutte le sere a
cena, mentre ora al cinema preferisco andarci di pomeriggio perché
la sera preferisco stare con gli amici. Poi la mia giornata, da
mezzogiorno alle tre, era spezzata dal fatto che ero iscritto a un
circolo in cui giocavo a tennis, cosa che oggi non faccio più perché
rimango spesso in redazione.Vado a colazione con dei ragazzi qui
dentro, spesso vengono alcuni nostri disegnatori per parlare un pò
di lavoro o per fare quattro chiacchiere. Non vengo mai presto in
ufficio la mattina, ma sono sempre uno degli ultimi ad andarmene, poi
questo ufficio è organizzato un pò come se fosse una seconda casa”.
N:
Che musica
ascolta?
SB:
“Ascolto molto
Jazz, principalmente. Poi ascolto molta musica brasiliana e anche la
nostra musica degli anni '70 e '80. Sono scarso in musica classica,
non ho mai avuto il coraggio di affrontarla per bene, anche se ho
delle opere di Puccini o di Verdi, quatto o cinque in tutto, a cui
non rinuncerei mai”.
N:
Torniamo
ancora ai fumetti. C’è un artista che le sarebbe piaciuto avere
nella sua scuderia, anche come semplice guest star, tipo nel TEXONE
annuale?.
SB:
“Più
di uno. Quando mi sono ripromesso di proporre ai lettori i migliori
artisti internazionali, spesso da quest’ultimi ho avuto risposte
negative. Per esempio quando ho avuto la possibilità di lavorare con
Ortiz, non l’ho avuto nel momento magico, quando avrei voluto ma
solo più tardi. Ho dei rimpianti di non aver lavorato con Moebius,
lui era molto gentile e mi rispondeva sempre di no, accompagnato da
un bel sorriso”.
N:
E
Alberto Breccia?
SB:
“Con Breccia ci stimavamo molto, ma solo oggi forse, potrei
proporre uno stile come quello di Alberto, inquietante, particolare.
Forse avrei potuto lavorare con il figlio Enrique che già aveva un
tratto più vicino al nostro modo di fare fumetti. Poi anche quel
belga bravissimo, Hermann. Abbiamo mangiato non so quante volte
insieme ma la sua risposta a una mia proposta di collaborazione è
sempre stata negativa”.
N:
C’è
qualcosa che si è pentito di aver pubblicato?
SB:
“Beh,
onestamente ci sono quattro o cinque cose che avrei potuto
risparmiare ai miei lettori. Ma alla fine è talmente difficile dire
di no all’entusiasmo di uno che ti propone una sua creazione. In
questo sono molto sensibile. Poi in fondo sono sempre curioso e anche
da un’esperienza economicamente negativa si può sempre imparare”.
![]() |
Demian e Volto Nascosto, tra le ultime mini serie preferite da Bonelli. |
N:
Siamo alla
fine della conversazione. Lei è ancora al timone di questa grande
azienda, non la gestisce come una multinazionale, lei ha cura dei
suoi dipendenti. Intendiamoci, La Sergio Bonelli è un’azienda che
fa degli albi affinché vi siano dei buoni introiti ma fa anche delle
mini serie che comunque non credo diano soddisfazioni economiche come
Tex o Dylan Dog. Cosa la spinge a provare queste nuove soluzioni?
SB:
“La curiosità.
Sono curioso di mettermi alla prova per vedere se vivendo in questo
tempo io riesco ancora a capire la gente che mi circonda. Mi sento
molto coinvolto sempre in prima persona. Da qui non esce una pagina
che io non abbia visionato almeno tre volte. Non saprei fare
diversamente. Voglio essere in grado di difendere quello che faccio e
di difendere chi lavora con me. Se di un mio albo si parla male,
voglio poter capire se offendermi e intervenire. Le giornate passano
talmente veloci e quello che la gente ancora non ha capito è quanto
sia difficile fare i fumetti. Quindi uno dei miei punti d’onore è
quello di far capire che un disegnatore ci mette 2 giorni a fare una
pagina”.
N:
Delle ultime
sue miniserie, quale l’ha emozionata di più? Quale aveva dei temi
a lei molto cari?
SB:
“Mi è
piaciuto molto quella sull’Africa, Volto Nascosto.
Sia per l’argomento, di cui nessuno sa niente e poi perché mi
piace tantissimo dal punto di vista paesaggistico e dei costumi. Poi,
come ti ho detto, sono un appassionato di guerre dell’800
coloniali. Mi è piaciuto all’inizio Demian,
perché vi ho ritrovato quell’atmosfera marsigliese degli anni 50
tipica dei film con Jean Gabin, insomma di quando andavo molto al
cinema”.
N:
Grazie.
Alla
fine dell’intervista, Sergio Bonelli mi guida in un piccolo giro
nella sua casa editrice per farmi vedere tutti i disegni originali
della sua collezione. Sul muro della redazione, vi sono tavole
originali della Golden
age americana di
artisti del calibro di Caniff,
Raymond,
Gould,
Al
Capp,
ecc.. nonché molte meraviglie del fumetto italiano.
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