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Sigaro Apostolado tra i denti: tutti i disegni che Jac mi dava da inchiostrare odoravano di tabacco. Un odore che ancora oggi non ho scordato. |
Credo che la lettera che
inviai a Jacovitti, alla fine di novembre del 1997,
iniziasse proprio con un bel “Caro Franco...”.
Sono passati 15 anni,
ormai non ricordo più i dettagli. Ricordo solo che quando scrissi
quella lettera ero piena di amarezza. Amarezza per quello che avevo
scoperto alla redazione del Giornalino.
Nel precedente capitolo
vi ho parlato di una copertina di Cocco Bill realizzata
per il Giornalino,
una copertina che non era, di certo, stata realizzata, o quantomeno
inchiostrata, da Jacovitti. Andando ancora a ritroso,
nei capitoli scritti ancor prima, avevo spiegato come verso la metà
del 1997 Franco avesse deciso d'interrompere la nostra
collaborazione in quanto, secondo le sue parole, aveva ritrovato
l'energia e le vitalità di un tempo. Vedere un disegno di Cocco
Bill non inchiostrato da lui e tantomeno da me, mi faceva
sorgere qualche dubbio: chi l'aveva inchiostrato? E perché Franco
non me ne aveva parlato.
Ciò che mi ferì molto
in quella circostanza non fu il fatto che Jac
probabilmente si stesse affidando a qualcun altro, ma il fatto che
non me ne avesse parlato. Vi sembrerà strano ma Jac e
io ci dicevamo tutto. Lui spesso si confidava e si sfogava con me ed
era normale, visto che per quasi cinque anni ci vedevamo un giorno si
e uno no.
In quell'istante mi
sentii fortemente abbandonato.
E passi pure che, dopo
tutta la mia collaborazione e disponibilità per creare lo Jacovitti
Club, fossi stato messo da parte; era una cosa che non riguardava
direttamente Jacovitti. Ma essere messo da parte da
Franco, questo non riuscivo ad accettare.
Durante quei cinque anni
avevo sempre svolto tutto il lavoro affidatomi, con alti e bassi per
carità ma sempre a disposizione in qualsiasi momento e senza soste.
Mi sentii abbandonato, e
soprattutto provai molta rabbia. È un po' come quando i sogni avuti
per una vita si frantumano in un misero istante. Per questo gli
scrissi la lettera. Per chiedergli spiegazioni. Per sapere. Uno dei
passi che vagamente ricordo di aver scritto, alludeva alla sincerità
che tra di noi c'era sempre stata. Ero a Pavia quando spedii la
lettera. Arrivò a Jac dopo qualche giorno. Nel frattempo
scesi a Lecce e rientrando a casa nel tardo pomeriggio dopo una
passeggiata nel centro storico (passeggiavo parecchio in quel
periodo, cercavo di capire...) mio padre mi disse che Jacovitti mi
aveva chiamato, che aveva ricevuto la lettera, che aveva capito e che
mi avrebbe risposto. Ma non ho mai capito se quella risposta volesse
scrivermela o dirmela telefonicamente a parole sue. E non ho mai
saputo cosa volesse dirmi realmente perché di lì a qualche giorno,
Franco se ne andò.
Il 3 dicembre 1997,
mentre era solito fare la sua passeggiata mattutina, fu colpito da un
ictus che lo paralizzò per metà. Si spense dopo qualche ora in
ospedale.
Mi chiamò immediatamente
un mio amico da Roma per darmi la notizia e vi dico la verità, dopo
lo shock iniziale, il mio primo pensiero fu per la dolcissima moglie
Lilli. Pensai che non sarebbe sopravvissuta. Solo chi ha avuto
la fortuna di vedere un amore così grande mi può capire. E infatti
Lilli lo raggiunse dopo neanche sei ore.
Anche ai funerali mi
sentii solo. Nessuno venne a salutarmi. Forse avevano saputo della
lettera che scrissi a Jac e posso capire il loro
risentimento ma credo che la cosa riguardasse solo Franco
e il sottoscritto. Ma in verità ero tranquillo perché tra amici
credo sia giusto essere sinceri. E Franco oltre a
essere il mio maestro era soprattutto un mio amico. Ricordo che
quando uscii dalla chiesa mi corse dietro Giovanni
Boschetti, vice presidente dello Jacovitti Club. Mi
abbracciò e quell'abbraccio per me fu la conferma che alla fine era
rimasto qualcuno capace di apprezzare il mio lavoro in questi cinque
anni. Ma non era il solo per fortuna: molti mi chiamarono per
esprimermi il loro affetto.
Durante il viaggio di
ritorno, inevitabilmente ripercorsi con la memoria tutti quegli anni
passati accanto a uno dei più grandi fumettari di sempre, del
privilegio che mi era capitato. Nei giorni a venire mi sentii
telefonicamente con Silvia, la figlia di Jacovitti:
non era facile per lei, aveva perso i genitori in un solo giorno. Non
oso immaginare il duro colpo. Parlavamo e ricordavamo Jac,
la sua ironia, le sue battute, insomma credo che in noi ci fosse il
bisogno di ritrovare e condividere il suo mondo surreale.
Ma dopo il danno arrivò
anche la beffa: non fui scelto per continuare le avventure di Cocco
Bill. Credo di non essere stato preso neanche in
considerazione. Nonostante Jacovitti mi avesse più
volte pubblicamente dichiarato come suo erede, Don Tommaso
Mastrandrea, allora direttore del Giornalino (che mi
conosceva e conosceva il mio lavoro con lo stile di Jac)
scelse Luca Salvagno:
tutti i nodi alla fine vennero al pettine.
Me lo comunicò Silvia
e sinceramente rimasi molto addolorato e deluso.
Ma ormai Jacovitti
se n'era andato e gran parte del mio amore per il fumetto
l'aveva seguito.
Ti ripropongo quanto già postato su FB:
RispondiEliminaCarissimo Ned, ho letto il tuo bellissimo post su "Over the Roofs" e mi sono commosso... Non so perché ma, a distanza di 20 anni dal mio brevissimo frequentare Jac per le mostre di Lucca e Cremona, mi viene in mente il Cerchio Magico....
Francesco Manetti
Ti ho risposto anch'io su Fb e ripropongo:
RispondiEliminaA chi lo dici caro Francesco, la commozione dentro di me per quel periodo è davvero forte... che tempi:)... ho visto la foto tua con Jac a Forte dei Marmi: bellissima e mi piace tanto il Dime Web:http://dimeweb.blogspot.it/