Prologo
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Un bel primo piano di Ken Parker realizzato da Milazzo in occasione della sua visita a Lecce 1991. |
Da ragazzino non amavo particolarmente leggere. Giocavo a calcio e a
nascondino, scambiavo le figurine Panini, guardavo Star Trek, i
cartoni giapponesi; insomma mi piaceva tutto ma non i libri, che
proprio non m'attiravano.
Poi scoprii i fumetti e la mia passione per il calcio e le
telecronache delle partite domenicali alla radio come d'incanto svanì
per sempre, tanto che ancora oggi credo di essere uno di quei pochi
italiani che non seguono le partite o fanno il tifo per qualche
squadra.
Dopo
la mia scoperta, iniziai a leggere, leggevo fumetti e davvero
parecchi: non è che semplicemente mi piacesse leggerli, più che
altro il fumetto mi aveva letteralmente stregato; ma devo precisare
che ero attirato dal fumetto di fattura più classica rispetto a
quello che stava rivoluzionando gli anni '80. Leggevo Gordon,
Phantom,
Tex Willer,
Mandrake,
tutti quelli che oggi, ma anche venticinque anni fa, venivano
considerati per vecchietti. E, se da un lato amavo leggere e
disegnare fumetti, i romanzi invece continuavano a non attirarmi: ero
troppo preso dai comics, mi attiravano peggio di una calamita, non
pensavo ad altro. Giravo l'allora scarna città di Lecce per trovare
qualche fumetto che non fosse il soliti Tex, Topolino ecc... In
edicola si riuscivano a trovare degli albi di Andrea Pazienza,
Vittorio Giardino,
ma erano autori che ancora non m'interessavano o che non conoscevo.
Ero un classicista, un sessantenne nel corpo di un quattordicenne.
Anche quando vidi il primo albo di Berardi e Milazzo
storsi il naso: un segno troppo immediato e quindi non m'invogliava
alla lettura. Ero lontano dal concepire il fumetto come un modo per
raccontare una storia attraverso le immagini. Per me i fumetti erano
il disegno ben fatto, pieno di particolari e virtuosismi tecnici e
via dicendo. Il mio vero problema era giudicare un fumetto solo in
base al disegno. E se sei fissato con un disegno ultra definito come
quello di un Hal
Foster,
allora un Ivo
Milazzo
o un Hugo Pratt ti
sembrano “tirati via”.
Classico errore del principiante.
Lucca,
novembre 1990
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Particolare del disegno dedicato da Berardi e Milazzo a mia madre per la sua collezione di orologi sul tema del fumetto. |
Per
fortuna arrivò la fiera di Lucca nel 1990. Probabilmente fu in quel
magico ingresso, nel tardo pomeriggio all'inizio di novembre, sotto
quei meravigliosi alberi mastodontici che formavano una galleria
naturale, che ebbi la sensazione che qualcosa in me sarebbe cambiato.
Appena entrato nel palazzetto dello sport mi si aprì davanti un
mondo nuovo: file di stand piene di fumetti come non avevo mai visto
(ricordatevi che venivo da Lecce all'inizio degli anni 90 che, più o
meno, voleva dire venire da una cittadina provinciale in mezzo al
deserto più assoluto) e autori del calibro di Alberto
Breccia
che si aggiravano per gli stand. Il megafono faceva continuamente
degli annunci e io, sinceramente, ero a caccia di qualche disegno
realizzato per me da parte di qualche “big author”. Il primo
annuncio che sentii fu qualcosa tipo: “Giancarlo Berardi firma le copie di Ken Parker allo stand della Parker
Editore!”.
Sia io che mio padre, che era lì con me, ci indirizzammo verso lo
stand anche se non conoscevo nessuna opera di Berardi.
Appena arrivati vedemmo un uomo sulla quarantina o qualcosina di più,
barba curata, sguardo intelligente. Era lì chino ad autografare gli
albi di Ken Parker che
in quel periodo venivano ristampati dalla casa editrice Parker
Editore
(da lui fondata insieme all'amico e disegnatore Ivo
Milazzo)
e onestamente non ero ancora consapevole dell'importanza di un
personaggio come Ken nella storia del fumetto italiano. Comprai i
primi numeri, me li feci autografare e quella sera li lessi più o
meno tutti.
Non
so come spiegarvi la sensazione che provai leggendo Ken
Parker.
Ricordo solo che quando arrivai al n. 5, Chemako,
sentivo dentro di me come qualcosa di costretto
che spingeva per esplodere, una serie di emozioni ancora prigioniere,
che ribollivano come un fiume in piena pronto a straripare, ma tenuto
ancora a freno negli argini. Oggi posso dire che quella diga fu
letteralmente distrutta dalle parole di Giancarlo
Berardi.
E quello era solo l'inizio del cambiamento.
Lecce,
novembre 1991
Un
anno dopo
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G. Berardi autografa la mia collezione di Ken Parker. Lecce 1991. |
In
quell'edizione di Lucca, Berardi e Milazzo
pubblicizzavano la mostra di Ken
Parker,
Il respiro e il sogno.
Mio padre prese i contatti con i due autori con l'obiettivo di
realizzare la stessa mostra a Lecce. Fu così che la mia famiglia e
Berardi e Milazzo
si avvicinarono. Il progetto della mostra di Ken
a Lecce sfumò in quanto lo sponsor non voleva mettere a disposizione
la cifra chiesta da i due autori.
Circa
un anno dopo mio
padre fu contattato da un tizio, il
classico tipo dell'imprenditore ignorantello, che però aveva soldi
da investire. Il tizio voleva realizzare una linea d'abbigliamento e
mio padre gli propose di farla col marchio di Ken
Parker.
Non era una cattiva idea: la fine degli anni ottanta e l'inizio dei
novanta avevano rappresentato un piccolo trionfo della moda stile
country con le giacche di jeans e accessori El
Charro,
Sisley
(non quella che conosciamo oggi), Winchester,
e simili. Realizzare una linea con il logo KP,
riprodurre gli splendidi acquarelli di Ivo
Milazzo
sulle t-shirt a mio parere (e lo dico col senno di poi, dopo aver
peraltro anche maturato una certa esperienza nel settore
dell'abbigliamento) poteva rivelarsi una carta se non vincente,
quantomeno ricca di sorprese. Giancarlo e Ivo scesero a Lecce per
parlare col tizio che, detto fra noi, neanche sapeva chi fosse Tex
Willer,
figuriamoci Ken
Parker.
In quei giorni non ero a Lecce perché frequentavo la Scuola
Internazionale di Comics
a Roma, ma per l'occasione i miei mi tenevano informato di tutto. A
quanto pare, secondo i ricordi di mia madre, quell'incontro si
concluse con un nulla di fatto: Berardi e Milazzo
avevano richiesto una cifra che il tizio non si sentiva d'investire.
Un vero peccato.
Un
bel jeans con l'etichetta disegnata da Ivo
Milazzo
e con il logo KP
al posto di quello Lewis
sarebbe stato davvero figo. Al di là di questo, Giancarlo e Ivo con
le rispettive compagne (Milazzo
in realtà era sposato) passarono dei bei giorni a Lecce e io
invidiavo i miei genitori che potevano passare del tempo con loro.
Mia
madre ricorda ancora la passione con cui Berardi
guardava
la nostra bella libreria in ciliegio stracolma di libri. Sempre mia
madre mi racconta che Giancarlo e mio padre si soffermarono su un
libro di Jaroslav
Hašek,
Il buon soldato Švejk
(feroce satira antimilitarista con protagonista un buffo soldato
della prima guerra mondiale) che a Giancarlo
piaceva tantissimo. Credo che avesse una collezione di soldati
pacifisti e mio padre gli promise di inviarli una delle prime
edizioni di quel libro in lingua originale.
In
quei giorni, anche se a distanza, Giancarlo mi fece un bel regalo:
telefonò a Corrado
Mastantuono
chiedendogli di potermi ospitare nel suo studio per darmi qualche
dritta sulle tavole che realizzavo per la scuola. I consigli di
Mastantuono
devo dire che mi furono molto utili spianandomi la strada verso
quella sintesi che solo un anno prima non avrei minimamente preso in
considerazione.
Lecce
11 Maggio 1992
Sei
mesi dopo
In quel periodo ero a Lecce intento a realizzare le tavole finali per
l'esame del primo anno di scuola del fumetto. Il mio stile non era
ancora ben definito e i modelli a cui mi rifacevo erano del tutto
sbagliati. Il tempo, l'esperienza e soprattutto i saggi consigli
delle persone giuste avrebbero in futuro posto rimedio a queste mie
incongruenze artistiche da adolescente.
Erano
passati circa sei mesi da quando Giancarlo e Ivo erano stati nostri
ospiti a Lecce. In quel periodo era uscito il primo Maxi
Tex
scritto proprio da Giancarlo
Berardi
(Oklahoma!),
definito da Sergio
Bonelli
nella sua introduzione al volume “Il principe
del fumetto italiano”.
Prima di rientrare a Roma, la mia famiglia ed io scrivemmo a
Giancarlo e realizzai per lui un disegno del buon soldato Švejk
da allegare alla lettera insieme alla prima edizione del libro di
Hašek con le illustrazioni di Josef Lada grande illustratore boemo e
primo ad aver disegnato Švejk.
Giancarlo fu felice del pensiero e
di lì ad un mese ci saremmo incontrati di nuovo, questa volta nella
sua Genova.
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Da sinistra: Ivo Milazzo, la moglie Cristina, Mia madre (vista di spalle) e Giancarlo Berardi a Lecce nel 1991. |
Genova, 26 giugno 1992
Un mese dopo
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Il buon soldato Švejk. |
Finita la scuola del
fumetto, i miei vennero a prendermi a Roma e tutti insieme partimmo
alla volta di Genova a trovare Giancarlo Berardi.
Giancarlo aveva
quarantadue anni, era (parlo al passato perché non lo vedo da circa
vent'anni) un bell'uomo, barba curata, grande personalità e cultura,
insomma un uomo dal fascino intellettuale.
Abitava in una bella
strada rialzata, da dove si riusciva ad ammirare gran parte di
Genova. Lasciammo il camper in un parcheggio sottostante e ci
avviammo verso la sua abitazione.
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Disegno del sottoscritto (abbiate pietà, avevo 16 anni) in omaggio a G. Berardi. |
Se ben ricordo era da
poco ritornato da un viaggio negli USA e sfilò davanti a noi con un
bel cappello Stetson originale (per chi non lo sapesse, uno
Stetson è il classico cappello da cowboy che prende il nome
dal suo creatore, John Stetson) e con, nientemeno che, un bel
Kentucky, il lungo fucile arma prediletta da Ken Parker.
Subito dopo Giancarlo ci fece accomodare nel suo studio, il luogo in
cui partoriva tutte le storie del suo personaggio più noto. Aveva da
poco acquistato un computer (eravamo nel 1992, quindi agli occhi
contemporanei sarebbe stato un pc abbastanza jurassico), ma in realtà
quella macchina scompariva accanto alle migliaia di volumi che
riempivano la sua libreria. Ero già stato in varie librerie e
biblioteche ma quella fu la prima volta che venni attratto dai libri.
La biblioteca di Berardi era sistemata in maniera
precisa e ordinata, con le coste di vari colori che risaltavano
meravigliosamente su quei ripiani color legno scuro che sembravano
quasi accudire il prezioso materiale contenuto. Ma tutti quei volumi
di vari spessori e dimensioni erano la conferma dell'amore che
Giancarlo nutriva per la carta stampata; li amava con tutto se
stesso, ne parlava in maniera profonda e passionale, con quella
carica emozionale tipica di chi scrive vivendo e dando le stesse
forti emozioni. Mi parlava di scrittori come Jim Thompson,
Raymond Chandler, Ambrose
Bierce,
Nell
Kimball,
ma anche di arte, citandomi illustratori che assolutamente non
conoscevo. Grazie a Berardi
conobbi quelli che oggi sono due tra i miei illustratori preferiti:
Norman
Rockwell e
Lizbeth
Zwerger.
Giancarlo
li adorava. Mi fece notare come il barbone compagno di ventura di Ken
nello splendido
(KP
n. 15)
fosse ripreso da uno dei barboni illustrati da Rockwell
per
le sue cover del
Saturday Evening Post
e aggiunse in tono ironico ma allo stesso tempo a mo' di ammonizione:
“Quando
io scrivo sulla sceneggiatura che “tizio” deve assomigliare a uno
dei personaggi dipinti da Rockwell o da Rackham e tu mi dici di non
conoscerli... beh tu con me non lavori di certo!”.
Gli
brillavano gli occhi mentre sfogliava i suoi volumoni di Norman
Rockwell
e si divertiva a spiegarmi come Milo
Manara
avesse ripreso il panneggio a uncino di Lizbeth
Zwerger; mi fece
vedere le illustrazioni di Roberto
Innocenti spiegandomi
come l'artista fosse stato rifiutato in Italia e accolto in
Inghilterra (un classico del nostro amato bel paese, farsi scappare i
grandi artisti) e ancora continuava a parlarmi di artisti anche non
famosi; ad esempio ricordo che tirò fuori un volumone di un pittore
che per tutta la sua vita aveva dipinto unicamente la donna che
amava.
Credetemi,
era bellissimo vedere Giancarlo tirare fuori dalla biblioteca i suoi
libri d'arte. Li afferrava con tutt'e due le mani, estraendoli con
grande cura, li poggiava sulla scrivania e incominciava a svogliarli
delicatamente; la cosa che mi stupiva era il pensiero delle
innumerevoli volte in cui con la stessa emozione aveva già
sfogliato il volume.
Passammo
ai fumetti e fu in quel momento che Giancarlo mi fece conoscere Alex Toth. Prese un
suo albo in lingua inglese e mi disse: “Questo
per me è il più grande disegnatore del mondo!”,
aprì l'albo e soffermandosi su alcuni primi piani continuò: “Guarda
che espressività, guarda il personaggio, parla solo con lo
sguardo...”.
Toth
diverrà anche il mio artista preferito.
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Berardi mentre osserva i miei disegni. |
Berardi
mi parlò anche del suo disegnatore umoristico prediletto, quel Dick Brown creatore
di Hagar, di cui mi fece vedere un libro con delle bellissime
illustrazioni dell'artista americano.
Gli
chiesi di Milazzo, come lo collocasse in una sua personale
“classifica” di artisti prediletti.“Ivo
è uno dei due o tre migliori disegnatori al mondo!”
rispose
e la loro sintonia artistica era visibilissima già nella nuova
storia di Ken
Parker,
Silenzio
Bianco,
in cui i due autori, dopo gli ultimi capolavori come Un
principe per Norma,
Dove
muoiono i Titani
e Un
alito di ghiaccio
continuavano il loro splendido connubio
artistico.
Giancarlo
approfittò dell'occasione per darmi qualche lezione di sceneggiatura
e prese proprio quella scritta per Silenzio
Bianco
aprendo contemporaneamente il primo numero di KP
Magazine
dove la storia venne pubblicata. Incominciò a spiegarmi il suo modo
di usare parole e frasi finalizzati a dare la giusta idea a Milazzo
che poi l'avrebbe trasformata in immagine nella tavola definitiva. La
prima tavola di Silenzio
Bianco
mostrava una ballerina che si esibiva in un tipico palco da saloon
con una scenografia in cui erano disegnati dei cigni. Sullo sfondo
Giancarlo aveva messo le note di una nota sinfonia e mi chiese se ero
in grado d'immaginare quale fosse. Onestamente a diciassette anni non
potevo ancora vantare un significativo bagaglio culturale,
figuriamoci se si trattava poi di musica classica; in quel caso fu
mio padre a rispondere, dicendo che si trattava sicuramente della
musica di Čajkovskij
per Il
lago dei cigni,
uno dei più famosi e acclamati balletti del XIX secolo.
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Il sottoscritto e Berardi nello studio di quest'ultimo. Una bella lezione di racconto per immagini. |
Come
ho detto precedentemente, Giancarlo aveva da poco scritto una storia
per Tex,
Oklahoma!
disegnata da Guglielmo
Letteri.
Berardi non era per niente soddisfatto del risultato artistico
(francamente lontano anni luce da quello che avrebbe potuto fare Ivo
Milazzo),
mi spiegò che lui era solito inviare insieme alla sceneggiatura dei
layout (realizzati dal suo fidato collaboratore Maurizio
Mantero)
e che aveva fatto lo stesso con
Letteri,
il quale però, ci fece notare, non aveva per niente rispettato
alcune sue indicazioni. Naturalmente Berardi
era consapevole del fatto che Letteri
era, in ordine cronologico dopo Aurelio
Galleppini,
il secondo artista di
Tex per
anzianità di servizio e, presumibilmente, gli venivano concesse
licenze che un artista alla sua prima esperienza con Tex
poteva sognarsi. A Giancarlo non bastava scrivere la sceneggiatura di
una storia, voleva esserne anche il regista, colui che aveva la prima
e l'ultima parola su tutto.
Visionò
i miei disegni e quello che gli piaceva di più erano i bozzetti. Ero
nella fase disegno ultra particolareggiato che Giancarlo non
prediligeva particolarmente e cercò di farmelo capire mostrandomi
altri fumetti di Toth
(andava pazzo per i suoi disegni). Notò che le mie tavole mancavano
di documentazione e ricerca. Ricordo che si soffermò sul dettaglio
di una pipa e mi disse che anche gli oggetti all'apparenza più
semplici, anche se stilizzati nel disegno, dovevano provenire da una
fonte reale, ben documentata:
“Puoi
anche disegnarla con due semplici tratti ma devi documentarti. È
molto importante.” E
allora la sua passione per i libri lo travolse nuovamente e
incominciò a tirar fuori libri iconografici su qualsiasi argomento.
Mi ricordo che ne tirò fuori uno sui treni d'epoca e mio padre gli
confidò che, se interessato, poteva passargli qualche suo bel libro
sui treni. Ma Giancarlo rispose sorridendo: “Li
ho, li ho... ho anche dei libri sui rapinatori di treni!”.
Francamente
mi chiedevo cosa non potesse avere in quelle splendide librerie, che
facevano della sua abitazione una vera e propria bilblioteca.
Lasciammo
tutti insieme quel suo mondo di parole e carta stampata e ci
incamminammo verso il centro di Genova dove nel frattempo ci
raggiunse la sua compagna, Daniela. Arrivati in una delle piazze
rimasi colpito da alcune facciate dei vecchi palazzi, dai colori, dai
colonnati, insomma dall'architettura in genere. Giancarlo ci vide
meravigliati e alla fine ci confidò che i vari colonnati, le
balconate con le colonnine e tutto quello che adornava la facciata
del palazzo era dipinto e che per un'illusione ottica ci sembrava
reale. Era davvero incredibile. Passeggiammo ancora un po' e alla
fine andammo a cena in un ristorantino davvero niente male, molto
alla buona e continuammo a parlare. Gli chiesi se c'era un suo
collega, uno sceneggiatore che stimava e che gli piaceva. Mi confidò
che ammirava molto Gino D'Antonio
e la sua Storia del west.
Poi parlammo di libri e gli dissi che stavo leggendo Il
silenzio degli Innocenti
di Thomas
Harris
e lui esclamò: “Bellissimo!”.
Giancarlo era un appassionato di giallo e thriller, generi su cui
aveva realizzato la sua tesi di laurea e che gli sarebbero tornati
utili in futuro per il personaggio di Julia.
Passeggiammo
ancora un po' in una Genova notturna e suggestiva. Lui ci propose di
prendere un gelato. Voleva portarci in una gelateria (di cui non
ricordo il nome) in cui sosteneva facessero dei gelati buonissimi.
Appena arrivati esclamò: “Qui
fanno il miglior gelato di Genova. Anzi credo di tutta la Liguria!”
E poi si lanciò ancora di più sostenendo che fossero i migliori di
tutto il nord Italia. Sul fatto che fossero buoni non c'era alcun
dubbio.
Ci
avviamo sulla via del ritorno. Berardi
si fermò in un'edicola e comprò il giornale. Arrivammo sulla rampa
di scale che dal parcheggio in cui sostava il nostro camper portava
direttamente in via S. Ugo, dove Giancarlo abitava. Ci salutammo
dandoci appuntamento per il pomeriggio del giorno dopo.
Fu
davvero una giornata intensa per il sottoscritto. Avevo diciassette
anni e da quel giorno non ho mai smesso di leggere.
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Berardi non era soddisfatto del lavoro svolto da G. Letteri, disegnatore di "Oklahoma". |
Genova
27 giugno 1992
Il
giorno dopo Berardi
ci
accolse nuovamente nella sua abitazione. Quello stesso giorno saremmo
partiti per andare a trovare Ivo Milazzo.
Berardi
ci
regalò una copia della sceneggiatura originale di Ken
Parker - Silenzio Bianco.
Una
volta raccolti tutti nel suo studio, ricominciò a sfogliare con lo
sguardo tutti i suoi libri. Erano migliaia e migliaia di volumi che
credo testimoniassero tantissimi anni di passione, una passione con
cui li raccoglieva, li accudiva, li collocava nelle sue librerie.
Giancarlo
Berardi
aveva un rapporto d'amore con i libri.
“Io
dove vedo i libri mi sento bene. Quando entri in una libreria e senti
quel profumo di carta stampata che ti inebria completamente...”
Una
volta ritornato a Roma, incominciai a frequentare assiduamente le
librerie: Feltrinelli, Rinascita, Rizzoli, e tutte le volte che
entravo avevo sempre l'immagine di Giancarlo
Berardi
che estraeva uno dei suoi volumi dalla libreria con quell'euforico
sorriso di chi sta per intraprendere una conversazione che ha le
stesse emozioni di un lungo viaggio pieno di scoperte.
E
quell'immagine è sempre viva nella mia memoria ancora oggi.
Io
amo i libri. E gran parte del merito è di Giancarlo
Berardi,
forse il più grande sceneggiatore di fumetti del mondo.
Genova,
gennaio-febbraio 1998
Sei
anni dopo
Dopo
quella meravigliosa giornata passata insieme, rivedemmo Giancarlo
Berardi
insieme a Ivo
Milazzo
a Lucca nel 1992 in occasione del salone dei comics. Dopo di che ci
perdemmo di vista anche perché se è vero che Berardi
(ma anche Milazzo)
stravolse completamente il mio modo di vedere e intendere il fumetto
è anche vero che il primo amore non si scorda mai e per me
quell'amore era rappresentato dai fumetti di Jacovitti.
Nell'ottobre
del 1992 incominciai a collaborare con il grande autore di Cocco
Bill
e per cinque anni fui completamente assorto dal suo mondo surreale
fatto di vermi e salami.
Dopo la sua morte tornai a Genova
in quanto la mia compagna viveva proprio nella capitale ligure. Andai
a trovare Giancarlo nella sua abitazione sempre in via Sant'Ugo.
Mi
accolse un Berardi
che
oserei dire leggermente diverso. Da poco si era conclusa l'avventura
di Ken
Parker con
l'albo extra Faccia
di rame
e con una lettera in cui Giancarlo spiegava ai lettori che la
chiusura di Ken
era dovuta in primo luogo alle scarse vendite ma anche al desiderio
suo e di Ivo di dedicarsi a dei nuovi progetti.
Il
nuovo progetto di Giancarlo si chiamava Julia
ed
era un seriale per la
Sergio Bonelli Editore.
Restai
solo una mezz'ora e lui mi parlò di Julia,
raccontandomi (senza eccedere in particolari) la genesi del
personaggio; mi disse che per la realizzazione delle cover pensò in
un primo tempo a Nicola
Mari (artista
della Sergio Bonelli attivo prima su Nathan Never e poi su Dylan Dog)
ma per divergenze d'opinione non si arrivò a un tacito accordo. Da
lì, quindi, la decisione di affidarle a Marco
Soldi.
Mi confidò anche che per la realizzazione di Julia
ci sarebbe stato qualche compromesso da ingoiare.
La
decisione di chiudere Ken
Parker non
fu facile per Giancarlo. “
Ken ha rappresentato venticinque anni della mia vita!”.
Diede
un'occhiata ai miei disegni dicendomi che dovevo prendere una
decisione su quale stile volessi adottare.
Fu
l'ultima volta che vidi Giancarlo
Berardi.
Attesi con grande entusiasmo Julia
e quando nell'ottobre di quello stesso anno uscì l'albo mi
precipitai in edicola per acquistarlo. Lo lessi tutto d'un fiato e ne
scrissi bene perfino su una fanzine. Poi comprai il secondo, il
terzo, il quarto e via dicendo ma fu tutto inutile: mancava la magia!
Quella stessa magia che l'alchimista Berardi aveva usato per un
personaggio come Ken
Parker,
quella magia che aveva reso Ken
il protagonista di quella rivoluzione che cambiò per sempre il mondo
del fumetto così come quella americana cambiò per sempre il futuro
degli USA.
Ricordo che uscendo dalla sua
abitazione per l'ultima volta, quella sera d'inverno del 1998, mi
venne in mente l'entusiasmo e la libertà creativa che Giancarlo
sfoderava con la stessa facilità con cui il suo eroe più famoso
cavalcava nelle sconfinate terre dell'ovest.
Per
certi versi era come uno dei suoi personaggi letterari preferiti, Il
buon soldato Švejk;
Giancarlo con le sue parole riusciva a descrivere la vita cogliendone
la sua assurdità, cercando di non giudicarla e di accettarla nella
su insensatezza. Ma allo stesso tempo cercando di cambiarla in
meglio.
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Da sinistra: Norman Rockwell,
Roberto Innocenti e Lizbeth Zwerger,
tra gli illustratori prediletti
da Giancarlo Berardi.
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davvero un bellissimo post!!!! Sei stato davvero fortunato ad incontrare Berardi e bravo a recepire la sua passione!!
RispondiEliminasi.. diciamo che l'ho incontrato in un periodo in cui la sua creatività era in grande fermento: l'inizio di Ken Parker Magazine, le nuove storie sempre di ottimo livello... Francamente non so com'è il Berardi post KP...
EliminaE complimenti anche per questo ritratto così appassionato e vivido. Notevolissime le immagini a corredo.
RispondiEliminaCerto che, da quello che riporti, la fama di scrupolosi mercanti dei genovesi non è abusata.
... che poi al tempo non c'erano le macchinette e i telefonini... quindi le foto erano più preziose... :)
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